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Jože Plečnik

Jože Plečnik

Jože Plečnik nacque il 23 gennaio del 1872 a Lubiana. Dopo aver terminato la scuola professionale superiore di Graz (Austria) si recò a Vienna e, nel 1894, venne ammesso alla Spezialschule für Architektur di Otto Wagner (1841-1918). Da allora cominciò la sua collaborazione con l'atelier di Wagner. Nel 1911 fu invitato a Praga ad insegnare alla scuola di arti applicate e, di seguito, ottenne l'importante mandato per la trasformazione del castello. Nel 1921 si trasferì a Lubiana dove iniziò ad insegnare alla locale scuola tecnica superiore dell'università. Plečnik rimase a Lubiana fino alla sua morte, avvenuta nel 1957, dove svolse la maggior parte della propria attività d'architetto.
L'opera di Plečnik c'è arrivata in maniera esaustiva soltanto nel 1988, con la mostra organizzata dal centro Pompidou di Parigi. La critica che ha evidenziato i fatti fondamentali dell'architettura di questo secolo, ha tralasciato Plečnik , nonostante egli fosse della generazione fondatrice del movimento moderno, e nonostante egli abbia avuto una discreta notorietà durante la sua maturità professionale.
La stessa critica aveva trascurato Heinrich Tessenow (1876-1950) o lo aveva associato, com'è naturale della cultura occidentale, sempre alla ricerca di un colpevole, alla nascita dell'architettura di regime nella Germania nazista.
Le colpe di Tessenow erano sostanzialmente due: la prima di aver avuto come allievo Albert Speer e la seconda di aver aspramente criticato l'inattualità tecnica (e anche formale) dell'architettura moderna, a favore di tecniche e immagini più legate alla tradizione, come del resto proponeva Plečnik ; ma l'apologia di Tessenow è un'altra storia.
Il primo a notare Plečnik fu Adolf Loos (1870-1933) e il 5 giugno del 1898 scrisse (Interni. Un preludio - in Parole nel Vuoto): "L'architetto Plečnik , però, al quale la Società di Arti Applicate di Vienna ha offerto l'occasione di mostrare le sue straordinarie capacità e che per questo si merita la riconoscenza di chiunque la pensi in modo moderno, ha assolto il suo compito in modo inconsueto. Questa esposizione è permeata da un soffio di signorilità, […]".
La signorilità evidenziata da Loos non abbandonerà mai i progetti di Plečnik e, come in Tessenow, assieme alla tradizione, accompagnerà tutta l'opera dell'architetto sloveno. Per Plečnik nulla è lasciato al caso, ogni progetto è qualche cosa di nuovo che il maestro affronta con i suoi strumenti antichi.
Egli non pone limiti ai suoi riferimenti e le proprie fonti spaziano senza sosta e senza condizioni nella storia dell'architettura a lui conosciuta.
Nella sede delle assicurazioni Vzajemna a Lubiana del 1928-30 ad esempio, egli compie un'operazione che per certi versi è simile a quanto fece Loos nel 1910 sulla Michaelerplatz. La facciata del fronte principale ha delle connotazioni tali da adattare l'architettura dell'opera, nello spirito, al contesto esistente.
Sul retro invece, il bellissimo corpo scala che collega i ballatoi, è senza dubbio di stampo razionalista. Plečnik è costantemente preoccupato in maniera apprensiva del dettaglio; quest'apprensione traspare spesso dai suoi testi, che sono carichi di compassione per il proprio lavoro.
Con minuziosa delicatezza, ritrovabile in un Borromini, nel 1925 scrive: "Caro amico! Queste sono le piastrelle di marmo che dovrebbero stare sopra i capitelli delle colonne posteriori. Forse di profilo simile ad [A] - Chi le disegnerà? Bisogna infatti stare attenti alle volute - e attenti al taglio corto degli angoli. La larghezza(e) è importante. Infine - i capitelli anteriori non hanno queste piastrelle ergo dobbiamo lasciarle fuori anche da quelli posteriori !".
In altri progetti troviamo un'eleganza artigianale ereditata sicuramente dal padre falegname, ma soprattutto dalla tradizione.
Nel Casino di caccia del 1933 ad esempio, così come in un progetto per un rifugio alpino, Plečnik accosta dei barrotti sotto la gronda del manufatto e con incredibile abilità evoca un capitello dorico.
I suoi progetti esprimono sempre qualche cosa di nuova, ma anche d'antico, e quando parla dei propri disegni ci fa capire che contengono parecchie cose speciali: "[…] tutti i progetti arrivano alle sale da autopsia dei comuni. […] Ma naturalmente non è lì che uno spirito e un'anima possono essere loro aggiunti: di questi solo il Signore Iddio è provvisto, che li distribuisce sia all'architetto che al committente secondo chi si è scelto."
L'idea che un progetto, o un'architettura sia comprensiva di uno spirito o addirittura di un'anima confermano l'eterodossia di Plečnik in rapporto a suoi contemporanei.
Lo spirito è inteso come una presenza diffusa e impalpabile, ma riconoscibile di significati, riferimenti e immagini, della storia stessa del costruire l'architettura.
Dirà lo storico dell'arte Nace Sumi: "Plečnik realizza ciò che sembra impossibile: è un pioniere dell'architettura moderna ma nello stesso tempo autore di una vasta opera architettonica che attinge a riferimenti storici […]".
Plečnik recupera dalla storia dell'architettura quegli elementi a lui cari, li fa suoi, e li colloca in precisi progetti nella città. L'obelisco a forma di piramide, la colonna ionica, la colonna ad "anfora", le edicole, i ponti, le scale, ecc. questi elementi usati in parte come arredi urbani, diventano poi tracce d'altri progetti più complessi.
Mi riferisco in particolare ad alcuni progetti presentati su "Napori" nel 1955 dove il concatenarsi e l'unirsi di questi pochi ma essenziali elementi e la continua reinvenzione dei medesimi, generano altri progetti come: il monastero e la chiesa dei Gesuiti ad Osijek (Croazia) del 1944 dove i tetti della torre sono popolati dai medesimi elementi che ritroviamo per le vie di Lubiana (piramide di Zois, Il ponte di Tornovo) o il parlamento di Lubiana del 1947, ma soprattutto il monumento funerario di Zale.
Se si escludono gli interventi epistolari, egli non ha, purtroppo, formulato un preciso supporto teorico al proprio lavoro.
Per trovare una formulazione teorica e chiara su un procedimento operativo analogo a quello di Plečnik , si deve indagare l'opera sia scritta che progettata da Aldo Rossi (1931-1997); uno degli unici architetti contemporanei che abbia saputo strutturare un corpus dottrinale dove il pensiero scritto é in sintonia con l'opera costruita. (D.G. 97)

ARCHITETTURE

«Cos'è l'architettura? La definirò io, con Vitruvio, l'arte del costruire? Certamente no.» Etienne-Louis Boullée (1780)